giovedì 29 settembre 2016

"PARENTOPOLI" NELLE UNIVERSITA' ITALIANE: 11% I CASI DI OMONIMIA TRA I DOCENTI

Si parla di settemila casi di cognomi uguali, su un totale di 61mila docenti. E il dato non tiene conto delle parentele in linea materna.

University, Lecture, Campus, EducationSi legge sul sto di Repubblica che, secondo una ricerca di alcuni anni fa sulla situazione del "nepotismo" negli atenei italiani, su un totale di circa 61mila docenti universitari erano ben settemila i casi di omonimia: più dell'11%. Non solo: duemila di questi cognomi si ripetevano più di due volte. Statisticamente le omonimie avrebbero dovuto essere meno della metà di quelle registrate, quindi si trattava di un'evidente anomalia.

Quella ricerca fu la prova di una situazione che, in Italia, vede le cattedre di docenza tramandarsi ormai di generazione in generazione, da padre (o madre) a figlio, sbattendo così le porte in faccia a tutte le persone qualificate che vorrebbero intraprendere la carriera della docenza. E che, invece, spesso si trovano costrette a cercare lavoro all'estero. Un caso su tutti è l'Università di Bari, che fu sede di un grosso scandalo "parentopoli" per via di otto esponenti di una stessa famiglia impiegati all'interno della stessa facoltà,  e dove attualmente cinque dipartimenti sono guidati da parenti.

Ma lo stesso avviene anche in altri atenei, come Milano, o Palermo, e ormai sono molte anche le modalità che consentono di raggirare i cosiddetti codici etici, che dovrebbero impedire la presenza di membri della stessa famiglia all'interno di uno stesso dipartimento.

D'altra parte, l'impunità è di solito la conclusione delle inchieste condotte dalla magistratura su questo fenomeno. Ci sono le segnalazioni, le inchieste, gli interrogatori, le testimonianze, ma alla fine i tempi si dilatano e tutto cade in prescrizione. E i docenti imparentati tra loro mantengono il loro posto in ateneo.
Basta ricordare il caso del Policlinico di Bari, quando, nel 2007, fu scoperto  nell'ufficio di un professore una lista di 16 concorsi banditi da dieci atenei italiani per posti da ordinario e associato. La lista era corredata da nomi e cognomi dei vincitori e nomi degli "sponsor". L'inchiesta partì, ma, otto anni dopo, tutto venne archiviato per prescrizione dei reati.
Sempre a Bari, nel 2004 vi fu un altro scandalo nel dipartimento di cardiologia, che portò a una serie di arresti, ma che pure si concluse con la prescrizione 12 anni dopo.
Un altro caso ancora, sempre a Bari, è quello del dipartimento di giurisprudenza:  intercettazioni telefoniche e sequestri di documenti avevano portato alla luce il solito scambio di cattedre tra docenti di diritto costituzionale, pubblico comparato ed ecclesiastico. Gli indagati furono sessanta, tra cui alcuni dei principali giuristi italiani e taluni saggi chiamati dall'allora presidente della Repubblica Napolitano per modificare la Costituzione. A più di sette anni dall'inizio delle indagini, alcuni fascicoli sono stati archiviati, molti prescritti, altri trasmessi per competenza in altre procure d'Italia. Non c'è stata nemmeno una richiesta di rinvio a giudizio.

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